Il mercato dell’oro è sempre in fermento, specialmente nei periodi di crisi economica come questo.
Non sempre però la quotazione dell’oro si muove in linea con le aspettative, e ciò è dovuto alla fitta rete di correlazioni che il prezzo dell’oro ha con numerosi fattori economici, e con le quotazioni di altri beni e valute.
Partendo dalle correlazioni più semplici, l’oro è considerato il bene rifugio per eccellenza.
Di conseguenza il suo prezzo si dovrebbe muovere in maniera opposta rispetto alla situazione politica ed economica generale: in periodi di crisi economica ed incertezza politica, il prezzo dovrebbe salire; all’opposto in tempi di stabilità e crescita economica, dovrebbe scendere.
Questo effetto, valido a livello di dati ed eventi globali, si amplifica nel caso di avvenimenti che interessano direttamente gli stati produttori, come ad esempio lo sciopero dei minatori attuato nel 2013 in Sudafrica, uno dei maggiori produttori mondiali.
Anche lo stato di salute delle cosiddette economie emergenti influisce pesantemente sul prezzo dell’oro.
Paesi come la Cina oppure l’India sono tra i maggiori acquirenti del metallo a livello mondiale.
Ne consegue che una frenata delle loro performance economiche abbasserà la domanda globale e di conseguenza il prezzo.
L’andamento dell’economia USA influenza in maniera diretta la quotazione, per un motivo che ci introduce ad un altro ambito di correlazioni: a livello borsistico l’oro viene commerciato in dollari, come la maggior parte delle altre materie prime.
Quindi il dollaro statunitense ha un andamento uguale e contrario rispetto all’oro: se il dollaro sale di valore serviranno meno dollari per comprare un’oncia d’oro e viceversa.
I dati economici americani spesso hanno un forte impatto sulla quotazione del dollaro, e questo impatto si riflette immediatamente sul prezzo dell’oro anzi, possiamo dire che, fatta esclusione per l’improvviso scoppio di una guerra mondiale, una variazione inaspettata del PIL o di altri dati macroeconomici statunitensi creeranno i maggiori sbalzi nel mercato dell’oro.
La quotazione del petrolio greggio ha anch’essa un influenza su quella dell’oro, perché il petrolio viene scambiato in dollari, quindi una salita del suo prezzo avrà come conseguenza una discesa del dollaro con gli effetti che abbiamo già citato.
Inoltre il prezzo del greggio, pur non essendo questo propriamente un bene rifugio, risponde circa ai medesimi stimoli dell’oro, per esempio schizzando verso l’alto allo scoppio di una guerra in un area sensibile.
Il commercio dell’oro a livello borsistico ha alcune particolarità che vale la pena citare, perché aiutano a fare chiarezza su molti.
Innanzitutto quando si parla di prezzo dell’oro in realtà stiamo parlando di contratti futures a prossima scadenza. Questi sono contratti che impegnano le parti a comprare o vendere oro ( ma anche altri beni ) ad un certo prezzo ad una certa data.
Gli operatori guadagnano sulla differenza tra il prezzo al momento dell’acquisto e quello al momento della scadenza.
E qui sta la particolarità: i contratti vengono quasi sempre chiusi prima della scadenza, e non c’è uno scambio fisico di lingotti e moneta. L’obiettivo non è infatti comprare l’oro ma “giocare” sull’andamento del prezzo.
Meno male, perché dato il sistema delle leve e dei margini che non stiamo qui a spiegare, non esisterebbe sufficiente oro al mondo per coprire neanche una minima parte del valore di questi contratti.
Questi binari paralleli del prezzo dell’oro fisico e di quello finanziario possono portare a fenomeni di manipolazione della quotazione da parte di soggetti con interessi diversi.
Ad esempio un grosso fondo speculativo o una nazione, ad esempio la Cina, possono manipolare il prezzo per ottenere oro fisico ad un prezzo minore.
L’operazione è abbastanza semplice: si accumulano un gran numero di contratti in oro per poi rivenderli più o meno rapidamente, innescando una discesa del prezzo che permetterà di accaparrarsi l’oro “reale” ad un prezzo minore.
Teniamo conto che i movimenti di borsa tendono ad autoalimentarsi ed amplificarsi.
Una forte vendita iniziale porterà quasi tutti gli operatori a vendere, perciò chi effettua queste operazioni non ha neanche bisogno di vendere tutti i contratti che possiede: il mercato farà il resto.
Un altro fattore importante in questo mercato è rappresentato dalla banca centrale americana. Questa oltre ad essere la principale detentrice mondiale di lingotti d’oro, opera anche sul mercato dei futures, ovviamente con un peso enorme.
Anche se molti bolleranno come complottistico quanto segue, il fatto che la Federal Reserve possa utilizzare il mercato dell’oro come uno strumento di politica monetaria è talmente semplice ed evidente che risulta difficile credere che non venga messo in pratica.
Infatti in momenti di particolare pressione sul valore del dollaro, la Fed invece di variare il tasso di interesse ( cosa che avrebbe ripercussioni più varie ed ampie) potrebbe, e molti sostengono che lo faccia periodicamente, semplicemente riversare sul mercato l’immensa quantità di futures in suo possesso, causando per la correlazione di cui sopra un repentino apprezzamento del dollaro.
Quindi, quando decidiamo magari di vendere un semplice braccialetto ad un compro oro, dobbiamo sapere che il prezzo che spunteremo, oltre che di fattori a noi più vicini come una banale commissione, è frutto di una ragnatela di relazioni ed interessi che pochi sono realmente in grado di capire, e quasi nessuno di prevederne l’andamento.